Quell’estate decidemmo, diversamente dal solito, di andare in direzione nord, sulla seconda isola più grande d’Europa: l’Islanda. In aereo si impiegano poche ore, ma noi che viaggiamo con auto e moto al seguito, impiegammo una settimana per arrivare sull’isola. In un paio di giorni raggiungemmo il porto danese di Hanstholm. Dopo due giorni di navigazione il traghetto fece scalo alle Isole Faroe, isole perse oltre il mare del nord. Un giorno e mezzo di sosta obbligata, un altro giorno e mezzo di navigazione e finalmente arrivammo sulla “terra del ghiaccio“. Scendere dallo sporchissimo traghetto e mettere i piedi a terra fu un grande sollievo, il mare era così mosso da obbligarci a stare stesi in branda senza riuscire a mangiare.
Ai tempi eravamo attrezzati con tenda e sacco a pelo, è così che avevamo sempre viaggiato, ma per questa destinazione ci fu sconsigliato. Allora decidemmo di comprare una maggiolina usata, dimostratasi poi un acquisto davvero felice visto il clima dell’Islanda. Purtroppo la pioggia, le nuvole, il vento, il freddo furono nostri compagni di viaggio fino al ritorno.
Un’ anello di asfalto di circa 1400 km perimetra l’isola ma noi ci avventurammo subito nelle piste che portano al suo interno per raggiungerne il cuore e per poterne ammirare il paesaggio unico e primordiale.
Padrona indiscussa del territorio è la natura che si è sbizzarrita a creare scenari unici che ci riportano alle origini della terra.
Percorremmo piste di sabbia nerissima perché vulcanica, in mezzo a terreno e rocce ricoperte di muschi e licheni. Odorammo la terra che fumava e l’acqua che ribolliva dalle sue viscere mentre i geyser sparavano altissimi getti di acqua calda.
Non ci sono praticamente alberi ma c’è tanto verde che contrasta con il nero delle colate laviche dei vulcani dalle mille forme. Ce ne sono più di 200 e in gran parte sono attivi.
Tra i più belli Askja che ha eruttato l’ultima volta nel 1961. Nella caldera principale si è formato un grande lago affiancato da una caldera più piccola anch’essa con acqua dove ci potemmo immergere.
Non ricordo bene per quale motivo, probabilmente la pista si perdeva, ci ritrovammo su enormi crostoni di lava dalla superficie ondulata, lucida e di un grigio scurissimo dove riuscimmo a
percorrere circa 20 km in sei ore. Impegnativo e unico, sembrava davvero di essere su un’altro pianeta.
Poi fermate le auto per 4 giorni, effettuammo quello che è considerato uno dei trekking più belli al mondo: Landmannalaugar. Luogo strepitoso, montagne sfumate di mille colori, dall’ocra al verde, dall’arancio all’azzurro, e tutte le tonalità della terra alternate al bianco delle chiazze di neve. Sembra l’opera di un pittore che si è divertito a mescolare i colori. Purtroppo il tempo non fu dei migliori e togliersi le scarpe per guadare i torrenti d’acqua del ghiacciaio fu terribile, ma indimenticabile.
La città più grande dell’isola è Reykjavik, la capitale dove risiede il 40% della popolazione, il resto del territorio è assai poco abitato. Non molto distante Pingvellir dove la dorsale oceanica affiorando in superficie mostra la spaccatura fra il continente europeo e il continente americano.
Terreno coperto di verdi e morbidissimi muschi, tanto ghiaccio la cui erosione ha frastagliato le coste, tanta acqua e torrenti che formano cascate spettacolari come Gulfoss che finisce in uno stretto canyon o l’originale Svartifoss all’interno del parco Skaftafell raggiungibile in circa mezz’ora di cammino. Un’ anfiteatro di colonne di basalto di origine vulcanica dalla sezione esagonale che raccoglie il getto della cascata.
Nella terra del ghiaccio il Vatnajokull è il più grande ghiacciaio d’Europa.
Risalimmo la pista che raggiunge un rifugio, nei pressi del quale ci fermammo per la notte che fu insonne a causa del vento fortissimo, uscire dalla maggiolina per entrare nel rifugio fu impossibile. Uscimmo la mattina quando il vento smise di soffiare.
Il ghiacciaio ha uno spessore medio di circa 500 m sotto al quale si trovano diversi vulcani attivi. E’ un’immensa cappa di ghiaccio dalle forme ondulate. A partire dal 1932 lo scioglimento di una parte del ghiacciaio ha formato una laguna glaciale, Jokulsarlon dove galleggiano iceberg di varie dimensione e sembra proprio un paesaggio artico.
Qui abbiamo avuto la fortuna di esserci in una delle rare giornate si sole perché purtroppo il maltempo non ci ha fatto assaporare i luoghi come avremmo voluto, però, una sera prima di addormentarci il cielo ci regalò l’aurora boreale, strisce di colore giallo e verde fluorescente che vagano nel cielo scuro sfumandosi a cambiare forma. Una sorpresa magica e inaspettata che ci fece chiudere gli occhi augurandoci sogni felici.
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