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Tenerè: chi non lo hai mai sentito nominare? Forse non tutti sanno dove si trova.
Noi lo abbiamo “incontrato” diversi anni fa durante un viaggio di un paio di mesi in Africa.
Dopo aver attraversato Tunisia e Libia con le non semplici formalità doganali, passiamo il confine a Tumu in mezzo al nulla per entrare in Niger ed è proprio qui che si trova il deserto dei deserti. Solo sabbia senza alcuna forma di vegetazione: questo è considerato il deserto più inospitale della terra.
Proseguiamo per Bilma, oasi importante per le sue saline. Sono formate da una serie di vasche a cielo aperto per la decantazione.
Le pozze vengono riempite di acqua che evaporando forma il sale grezzo che verrà ridotto in polvere e pressato a formare i pani di sale.
I pani del sale sono di forma rotonda per l’uomo, più grandi e di forma conica per gli animali. Un tempo questo sale era considerato più prezioso del sale marino e veniva scambiato con l’oro.
Ancora oggi arriva qui la carovana del sale, “Taghalamt” in lingua tuareg, o “azalai” (nostalgia del ritorno).
La carovana del Sale del Tenerè
Partendo da Agadez copre una distanza di circa 700 km di corridoi tra cordoni di dune, e altrettanti per tornare.
Il viaggio dura circa un mese e viene effettuato tra ottobre e novembre. Le carovane sono composte da centinaia di dromedari. Un uomo ogni dieci animali che, verranno caricati con i pani di sale avvolti in cesti di giunco ogni mattina all’alba e scaricati alla sera quando già è buio. Percorrono 40-50 chilometri al giorno ad una temperatura che supera i 50°C, un pasto alla mattina e uno alla sera prima di dormire, durante il giorno mangiano datteri senza fermarsi mai. E’ un lavoro durissimo che solo i Tuareg riescono a praticare nonostante le condizioni estreme. Il sale verrà poi venduto o scambiato con miglio (alla base della loro alimentazione), tessuti, spezie, manufatti in cuoio, capre, thè nei mercati del sud.
Fortunatamente siamo riusciti a trovare dei bidoni di gasolio così dopo aver fatto i rifornimenti lasciamo Bilma, per quel “nulla” che a noi riempie gli occhi e la mente e il cuore. Linee sinuose a disegnare infinite dune di finissima sabbia dorata e infinito il senso di libertà.
Impiegheremo alcuni giorni per arrivare ad Agadez, passando per Fachi unica oasi su questo percorso. Veniamo “assaliti” da decine di bimbi ai quali non capita spesso di vedere auto e moto di viaggiatori stranieri.
Sporchi, scalzi, gli abiti malconci, con grandi sorrisi su quelle nere faccine. Centinaia di chilometri di sabbia, il Tenerè, li isolano dal resto del mondo:
Seguendo le coordinate inserite nel gps arriviamo in un punto preciso, in pieno deserto ma segnalato sulla cartina. Qui un tempo viveva l’albero del Tenerè, una vecchissima acacia dalle radici profondissime, era l’albero più isolato del mondo. Per errore è stato abbattuto (pare da un camionista libico ubriaco) ed è stato sostituito da una sorta di scultura metallica che raffigura un’acacia stilizzata. Davvero brutto ma è un importante punto di riferimento per le carovane e per i viaggiatori perché aiuta a trovare il pozzo che non è molto lontano.
Ancora qualche centinaio di chilometri fino a quando ci appare come un miraggio Agadez “la perla del deserto” la più importante città tuareg e crocevia del commercio trans-sahariano. Spicca da lontano il minareto della moschea. Simbolo della città è alto 27 metri ed è ornato di tronchi di palma sporgenti che dovrebbero, secondo le credenze, tenere lontani gli spiriti del male.
Per qualche giorno non dormiamo in maggiolina, ma alloggiamo in una stanza dell’hotel dell’Air ricavato in un antico edificio costruito in bancò (impasto di fango, sabbia e paglia) come molte delle costruzioni della città. Dopo 13 giorni di deserto avremo il lusso di farci la doccia e bere birra ghiacciata nel terrazzo sul tetto dell’hotel adiacente alla moschea.
Agadez ha un fascino tutto suo, si può girare tranquillamente, spesso accompagnati da bambini che si improvvisano guide in cambio di un cadeau.
Molto animato, il grande mercato è il luogo di incontro delle varie etnie che popolano il Niger: Tuareg, Peul, Haussa.
Le donne sono bellissime nei loro abiti variopinti, le ragazze acconciate di treccine, gli uomini con il taguelmoust a coprirgli il viso, e le merci in vendita: thè, spezie, varie piante medicinali, datteri e carne fresca letteralmente invasa dalle mosche.
D’obbligo la contrattazione per qualunque cosa si voglia acquistare.
Dall’altro lato della strada si trova il mercato del bestiame e non
molto lontano i vecchi quartieri: incroci di stradine tra case di bancò color ocra, decorate con ornamenti in rilievo o con balaustre traforate, sono notevoli esempi di architettura sudanese. Ci divertiamo a girare tra i negozietti e le botteghe di artigiani che fabbricano bellissime selle da cammello in cuoio, sandali e altri manufatti.
I fabbri battono l’argento a formare la croce del sud, amuleti e gioielli tipici tuareg.
All’alba lasceremo la città con la voglia di tornare (e così sarà qualche anno dopo) per proseguire un viaggio che non finisce qui perchè
nessuna carovana ha mai raggiunto il suo miraggio
ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane
Anonimo
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